Fatti a pezzi ... brandelli di cinema da ricucire
Tilaï - 1990 - di Idrissa Ouedraogo
Tilaï: l'amore negato
Tilaï (La Legge, 1990), di Idrissa Ouedraogo, costituisce un raro esempio di circolazione, seppure limitata a pochi eletti
circuiti, di film prodotti in Paesi che vivono ai margini della grande
industria culturale hollywoodiana ed europea e che riescono ad essere
distribuiti grazie ad interventi come l’EFDO, programma M.E.D.I.A. dell'Unione Europea.
Il
film di Ouedraogo è una co-produzione Burkina Faso/Svizzera/Francia, è
completamente ambientato nel vecchio Alto Volta, oggi Burkina Faso, nei
villaggi di Koumbri e Komsilga, e rappresenta uno dei migliori progetti
realizzati grazie al sostegno finanziario di diversi enti europei, in
particolare francesi (“Gran Premio della Giuria” a Cannes nel 1990).
Il
film di Ouedraogo, all’epoca trentaseienne, con già sette titoli all’attivo,
tra cui l’eccellente Yaaba (1989),
affronta un tema classico della letteratura e della cinematografia mondiale:
“l’amore negato”; ma lo fa in modo politico e antropologico, toccando quelle corde di universalità che raramente, anche i più grandi, riescono a sfiorare.
Tilaï risulta tutto giocato su
una doppia contrapposizione dialettica sviluppata, contemporaneamente,
all’interno del registro estetico-formale e all’interno del registro della
narrazione, della affabulazione.
Sotto
l’aspetto della visione e della
regia, sempre molto lucida e misurata, il film si muove tra i grandi spazi
desertici che avvolgono i pochi e poveri villaggi disseminati qua e là, e gli
spazi chiusi, angusti, determinati dai recinti all’interno dei villaggi stessi.
Sotto
l’aspetto dei contenuti, il processo narrativo si dipana attraverso la
fenomenologia del conflitto tra le infinite possibilità e libertà offerte dallo
spazio aperto e le barriere culturali imposte dalle convenzioni e dalle regole
del vivere in comunità, dalla famiglia stessa, all’interno dello spazio fisico
del villaggio.
L’essenza
del conflitto amoroso ha regole precise, tanto in Burkina Faso quanto
nell’Occidente industrializzato; che poi le difficoltà, gli impedimenti, le
sofferenze, sorgano da leggi e questioni etiche, etologiche potremmo dire,
molto differenti, rappresenta solo il "tratto culturale" della grande battaglia che l'uomo conduce sulla terra.
Ciò
che più conta, per Ouedraogo, è la ritualità del conflitto tra dimensione sociale e dimensione individuale; conflitto che risiede sempre sui
medesimi stati dell’anima, sulla profondità e l’esplosività dei sentimenti che
torcono le viscere e sull'indifferenza della Legge.
L’ordine
costituito, la comunità del villaggio, impone vincoli e costrizioni, non
risparmia neppure torture, “suicidi d’onore” pubblici e omicidi punitivi:
l’amore possibile del villaggio
esclude completamente l’amore impossibile
dei veri amanti.
Le
dissoluzioni delle famiglie e dei legami di sangue vengono decretate da un
ferreo codice d’onore che soggioga qualsiasi affetto ed esclude qualsiasi
ripensamento.
La macchina da presa (mdp) asseconda con
sobrietà questo contrasto tematico, muovendosi con molta fluidità e discrezione
tra gli spazi aperti che circondano il villaggio, teatro principale della
vicenda, e lo spazio chiuso del villaggio stesso, con l’atmosfera
simbolicamente asfittica che si respira a ridosso delle sue capanne.
Il
luogo-chiave del film è costituito da quella zona franca tra deserto e villaggio rappresentata dallo spazio
intermedio situato tra il perimetro del villaggio stesso e lo spazio aperto e
indifferente del deserto circostante.
In
questa sorta di limbo si svolgono le due scene
fondamentali del film: il finale tragico in cui si compie il “delitto d’onore”
richiesto dalle regole della comunità; l’incontro-scontro che dà inizio alla
vicenda drammatica, con l’arrivo di Saga/Rasmane
Ouedraogo che torna, dopo due anni di assenza, a sconvolgere le tranquille
regole della comunità, rivendicando il diritto di sposare Nogma/Ina Cisse, andata nel frattempo in sposa al padre di Saga stesso.
E’
appunto in questa scena iniziale che
si manifesta subito la disposizione “strategica” delle due parti in conflitto:
l’elemento di disturbo, anarchico e dissolutore, che rivendica i diritti della
passione e del sentimento e l’intera comunità, schierata sulle posizioni
consolidate dalla tradizione.
Questa
“guerra dei mondi” si configura come uno scontro tutto risolto all’interno
dello stesso nucleo familiare; il primo a fronteggiare Saga e a rivelargli lo stato delle cose è Kougri/Assane Ouedraogo, il fratello di Saga.
Kougri che pure affettivamente è
solidale con Saga, assume il compito
di portavoce della comunità e della legge.
Il
confronto tra i due fratelli è rapidissimo, secco; occorrono pochissime parole
per chiarire situazione e ruoli.
Ouedraogo
isola subito le due figure principali della scena, Saga che suona il corno per annunciare il suo arrivo, Kougri che esce dalla capanna e si
rivolge a Nogma per tranquillizzarla.
Segue
un campo lunghissimo, ripreso dalla semisoggettiva di Saga, del villaggio che si anima, simile a un formicaio; lentamente
la macchia bianca di Kougri si stacca
dal resto del gruppo e avanza verso Saga
che a sua volta si muove per andargli incontro.
I
due stacchi successivi ci propongono
prima Saga che scende dalla
collinetta e poi Kougri che avanza a
grandi passi nella pianura fino a raggiungere Saga in un faccia a faccia in primo
piano.
Altri
due stacchi rapidi e incisivi ci
mostrano gli altri protagonisti della storia, incorniciandoli, per coppie, in
due brevissime inquadrature: la prima
coppia è costituita dal padre di Saga
che trattiene Nogma, la seconda
coppia dalla sorella minore di Nogma
e dalla madre.
Con
un ulteriore stacco si torna su Saga e
Kougri che stanno discutendo; la mdp si limita ad inquadrare lo spazio,
la porzione di spazio in cui i personaggi si muovono animando l’inquadratura.
La
discussione si esaurisce velocemente e mentre Saga, sentendosi tradito, volta le spalle a Kougri e si allontana verso la collinetta, nell’inquadratura
successiva il capo villaggio si avvicina a Kougri e quando i due si voltano e tornano verso il centro del villaggio, lo sguardo di Ouedarogo torna ancora da Saga che, solo, si sta a sua volata allontanando fino a diventare un figura appena percettibile, in campo lunghissimo, nello spazio aperto e solitario del "fuori villaggio".
La mdp rispecchia fedelmente l’estrema
misura con cui Saga e Kougri si affrontano; non ci sono movimenti di macchina, la presentazione
dello spazio del profilmico viene
data attraverso un montaggio asciutto e perentorio, fatto di riprese fisse in
cui sono i personaggi a muoversi dentro la cornice dell’inquadratura.
Personaggi
i cui movimenti sembrano rispettare un preciso ordine gerarchico, ordine
confermato dalle inquadrature di gruppo in cui si muovono solo i protagonisti
della storia, circondati dall’immobilità generale.
Ouedraogo
sembra voler insistere, con il suo stile netto e quasi antidrammatico, sul
contrasto eternamente esistente tra la vitalità che anima i personaggi travolti
dalla passione e che grazie a questa passione diventano portatori di istanze
rivoluzionarie e liberatrici, e la fissità del gruppo, omogeneamente compatto,
a rimorchio del carro delle convenzioni.
E' già tutto annunciato, sin dal titolo. Il conflitto tra legittimità e potere, tra diritto positivo e diritto del cuore ha scelto le sue vittime e il richiamo all'Antigone di Sofocle non sembri azzardato: ci sono conflitti che sono universali e attraversano l'animo umano appena "travestiti" da culture diverse. E' questo il messaggio più grande di Tilaï.
Il Video Tilai (1990) di Idrissa Ouedraogo from Fatti a Pezzi on Vimeo.
Campo lunghissimo: è un tipo di
ripresa molto particolare, che serve ad esaltare la presenza del paesaggio; nel
cll la figura umana è ridotta a
semplice elemento nell’orizzonte più ampio del paesaggio.
Semisoggettiva: è
un'inquadratura che, come la soggettiva, mostra il punto di vista del
personaggio; ma sfruttando un'angolazione di ripresa lievemente differente, non
ne rispecchia fedelmente la posizione dello sguardo; nella semisoggettiva entrano in campo anche la nuca e le
spalle del personaggio.
Profilmico: si definisce “profilmico”
tutto ciò che “entra nell’obiettivo” della mdp e che si trova “in campo”,
appositamente per essere filmato; cioè tutti quegli elementi che compongono
scientificamente l’ambiente di ripresa (oggetti, arredamenti, personaggi) e che
rendono possibile la “messa in scena”.