Dressed to Kill (Vestito per uccidere) - 1980 - di Brian De Palma
Lo sguardo, il desiderio, la colpa
Dressed to Kill (Vestito per uccidere) (1980) è film di eccessi, è "troppo" in
tutto: troppo rozzo nella sceneggiatura e troppo sofisticato nello stile e
nella tecnica di ripresa, troppo
convenzionale nell'affrontare il tema "ufficiale" e troppo sottile
nell'affrontare il secondo livello del discorso, troppo ingenuo nella
comunicazione e troppo furbo nella metacomunicazione,
troppo grezzo nella narrazione e troppo colto sotto il profilo delle citazioni
e delle autocitazioni da cinéphile: dalla mitica "doccia hitchcockiana"
(Psycho) all'uso dello split-screen (Sisters); dalla
rappresentazione del voyeurismo
come peccato originale e mortale
(ancora Sisters ma anche, in toni più soft, Greetings)
all'esigenza patologica del travestimento (ancora Psycho); dalle
deviazioni delle personalità doppie (Psycho e Sisters) alla Tv
presentata come metafora dell'ossessione del vedere (ancora Sisters) e,
per finire, dal finale-shock onirico (Carrie) alla scelta assolutamente anticlassica
e non convenzionale di far morire la protagonista dopo appena un terzo di film
(ancora Psycho).
Il
percorso su cui si costruisce Vestito per uccidere, rappresenta
la vena più ricca del cinema di De Palma e affronta, curiosamente, un tema che
è tornato molto attuale nel thriller mainstream degli anni '90, trovandosi al centro di film
di grande qualità e successo commerciale come Il silenzio degli innocenti,
di Jonathan Demme, o Seven di David Fincher: il legame profondo tra
sguardo/desiderio/colpa/morte.
Il
"duale" Bobbi-Dr. Elliott/Michael Caine comincia ad uccidere
perché la sua metà maschile è attratta da Kate Miller/Angie Dickinson,
tanto da arrivare a desiderarla così intensamente da mettere in serio pericolo
la propria metà-identità femminile, che reagisce uccidendo.
Kate
stessa ha dei problemi psicologici
legati alla sfera del desiderio sessuale, e trova l'inevitabile morte proprio
quando il desiderio la spinge ad osare, accettando un rapporto rischioso con
uno sconosciuto.
In
realtà, il tema "ufficiale" (lo psicopatico omicida dalla personalità
e dalla sessualità doppie) e il meccanismo del plot sono tutt'altro che
originali; basti pensare a un modello illustre come il già citato Psycho (1960)
di Alfred Hitchcock per averne puntuale conferma: Norman Bates/Anthony
Perkins, il protagonista di Psycho, è uno psicopatico in cui convivono
conflittualmente la personalità maschile di Norman e la personalità
femminile, dominante, della madre morta; anche Norman si traveste da
donna per uccidere e compie i propri delitti utilizzando un'arma da taglio;
anche Norman è un voyeur che spia attraverso i buchi nelle
pareti; anche Norman, preso dal desiderio sessuale, lascia scatenare
l'identità femminile che è in lui e che odia tutte le potenziali femmine rivali.
Ciò
che risulta assolutamente affascinante, nell'opera di De Palma, è la capacità
di far emergere, esclusivamente attraverso il linguaggio dell'immagine, la
tematica sotterranea del film, che s'identifica nel rapporto simbiotico tra
pulsione sessuale e godimento estetico, rapporto che può condurre alla
totale perdizione.
Così,
l'ambiente-museo, che è il luogo dove si va per
guardare, per godere dello sguardo e del guardato (come il
cinema del resto), diventa Il Luogo Ideale, il laboratorio delle istanze autoriali
di De Palma.
Ecco
perché la lunga sequenza del museo (quasi 10 minuti) si dimostra di una
rilevanza simbolica decisiva, anche rispetto ad altri passaggi-chiave: l'omicida
riflesso nello specchio dell'ascensore (scena girata come un omaggio,
evidentissimo, forse più di quello del finale onirico, al Maestro
Hitchcock) o quello delle riprese fotografiche di Peter (il figlio di Kate).
Qui,
il tema reale è presentato in maniera più esplicita e, allo
stesso tempo, più complessa proprio per la ricchezza dell'apparato
simbolico.
De
Palma ama giocare sempre in bilico fra schemi narrativi più che convenzionali e
stile perfetto, al limite dell'autocompiacimento. Così, con l'indiscutibile
maestria tecnica che lo contraddistingue, quasi si sforza di rendere visibile
la presenza della macchina da presa e quindi dell'istanza narrante.
L'intera
sequenza del museo è di un virtuosismo tecnico tanto straordinario
quanto dichiarato; è esattamente ciò cui Welles alludeva quando affermava che,
purtroppo, in alcune scene, come nell'incipit del suo infernale
Quinlan (tit. or. Touch of Evil),
è inevitabile che si veda troppo chiaramente la mano del regista.
Per
De Palma, in questo caso, non è un'esigenza di carattere narrativo a imporre la
scelta, ma una precisa, scientifica, volontà di "far vedere" la visione:
cioè di mettere in campo il gioco degli sguardi dei personaggi,
della mdp (autore), dello spettatore (non a caso, le tre
prospettive costitutive dell'effetto cinema).
Lo
sguardo non è mai neutro; è sempre, assolutamente, selettivo e significativo,
per ciò che mette in campo (e per come lo mette in campo) e per
cosa, conseguentemente, lascia fuori; molto illuminante, al riguardo, la
sbirciata che De Palma consente allo spettatore sulla mano dell'assassino
nell'atto di raccogliere il guanto che Kate ha appena gettato via, sulla
scalinata del museo; sbirciata che, invece, non è consentita al personaggio-Kate,
troppo presa dallo sguardo/desiderio rivolto al richiamo sessuale
proveniente dal finestrino del taxi.
De
Palma non mostra alcun pudore nel rendere limpidamente visibile l'assunto teorico
del film, costruendo la sequenza con perfezione architettonica e
compiutezza scientifica: la sequenza si apre con una rapidissima ripresa
aerea in esterni (sulla scalinata d'ingresso del museo) e continua con una
lunga sequenza all'interno del museo stesso (8'30" circa) che
rappresenta il "cuore ideologico" del film.
Il
ritmo calmo e sereno dell'avvio è caratterizzato da una serie di soggettive di
Kate che, seduta, si guarda intorno passando dai quadri agli
altri visitatori del museo, in assoluta assenza di sonoro extradiegetico.
Nel momento in cui uno sconosciuto (Ken Baker) le siede accanto entra la
musica e il montaggio "sale di tono" aderendo alle schermaglie degli
sguardi e del corteggiamento, girato in classico campo/controcampo,
fino a diventare ossessivo nel momento in cui lo sconosciuto si alza e si
allontana, avviando la fase della ricerca-inseguimento per le sale del museo.
De
Palma ci conduce in questo inseguimento con un magistrale uso di carrelli in
avanti, sulla soggettiva di Kate, e carrelli a precedere,
alternando sapientemente punto di vista del personaggio principale e punto di
vista della sola istanza narrante.
Infatti,
eccetto che nella breve inquadratura in cui lo sconosciuto raccoglie il
guanto perduto dalla protagonista, sono sempre lo sguardo e i movimenti
di Kate a "farci strada" nel labirinto delle sale del museo,
determinando un perfetto grado d'identificazione dello spettatore con i
movimenti nello spazio e il disorientamento psicologico del personaggio;
identificazione che viene fortemente sottolineata dalla repentina panoramica
a 270 gradi, da sinistra a destra, che precede lo stacco sulla
scalinata esterna dell'ingresso del museo.
De
Palma filma questo percorso
come se si trattasse di un tracciato labirintico, in cui ci si può perdere
e morire, assimilabile al finale di Shining (capolavoro di Kubrick dello
stesso anno), oltre che per l'evidente analogia legata al tema
dell'inseguimento cieco, proprio per il ricorso alla funzione simbolica della figura
luttuosa del labirinto.
Labirinto
che diventa metafora delle pulsioni/deviazioni specto-sessuali, luogo
che pre-figura la morte, in Vestito per uccidere e metafora degli
itinerari deliranti della follia, luogo che con-figura la morte, in Shining.
A
questo punto, il segmento che abbiamo preso in esame si manifesta come
una perfetta partitura che, dopo una brevissima ouverture (in esterni),
sviluppato lungamente il tema con le variazioni (in interno),
trova la sua puntuale chiusura (di nuovo in esterni) davanti al museo
stesso.
Chiusura
in cui De Palma, liberando tutta la propria abilità fantasmagorica,
riesce a riportare l'attenzione dello spettatore sulle emozioni e sul punto
di vista della protagonista, dopo lo stacco e il cambiamento d'ambiente,
affidandosi a un bellissimo plongée sul primissimo piano di Kate,
seguito da un movimento di macchina panoramico, da destra a sinistra
che, con una secca zoomata, costringe lo sguardo sulla mano dello
sconosciuto che sporge dal finestrino di un taxi, mostrando il guanto perduto
dalla donna.
Un
altro elemento interessante, per quanto riguarda la sovrabbondanza di senso della
scena sotto il profilo del guardare e del traguardare e per la
sua rara capacità di condensazione narrativa, quasi inavvertibile ad una
prima visione, è la presenza di un fulmineo passaggio sulla figura dell'omicida
travestito (figura riproposta, qualche secondo dopo, in un'altra fugace inquadratura),
in una sorta d'introduzione-premonizione di ciò che accadrà di lì a poco.
Ancora,
è molto importante notare, sul versante della costruzione visiva e della
collocazione strategica della mdp, come la sequenza sia
strutturata in maniera molto rigorosa: si apre con una ripresa aerea
(ingresso museo), si prosegue con una serie di soggettive della
protagonista (interno museo), si torna ad una prospettiva aerea (uscita
museo), si torna nuovamente sul punto di vista di Kate (taxi).
Il
movimento della mdp, così, descrive una traiettoria ondeggiante
(top/down/top/down) che ricalca l'oscillazione conflittuale tra la pulsione
sessuale e le resistenze di natura etico-culturale di Kate; tra Es,
da una parte, e Io/Super-Io, dall'altra.
Lo
sguardo/desiderio prevale: Kate e lo sconosciuto continueranno in
taxi, spiati dal tassista-guardone, il loro duello amoroso e lo completeranno
nella stanza d'albergo dell'uomo.
Ancora
una volta De Palma, nel suo tipico slang misto di rozzezza drammaturgica
e incredibile talento visionario,
non si accontenta di suggerire, di lasciar trasparire, ma si sforza di
soddisfare le inclinazioni dello spettatore, che è il voyeur per
antonomasia, reduplicando la dialettica filmico/profilmico
attraverso la semisoggettiva del tassista (più avanti si trasformerà in
una geniale semisoggettiva "suggerita"), che guarda servendosi
dello specchio retrovisore, e l'oggettiva di Kate (che a sua volta spia fugacemente
le occhiate del guardone) e dello sconosciuto.
Per
finire, un ultimo spunto di riflessione: se, secondo De Palma, il voyeurismo
è IL peccato originale, in che rapporto si trovano ad essere Spettatore
e Cinema? Ovvero il guardante per definizione e l'oggetto-luogo
dei sogni e dei desideri più arditi? Si può pensare il cinema come luogo dedicato,
istituzionalizzato, del voyeurismo?
Se
così fosse, tra le pieghe del discorso di De Palma sembrerebbe annidarsi
un'idea del tutto altra della funzione del cinema: una camera di
decompressione in cui scaricare e sublimare le tendenze scopofiliche della
cosiddetta "civiltà delle immagini"; tendenze altrimenti inquinanti.
Il Video
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Brian De Palma |
PICCOLO DIZIONARIO TECNICO
Split-screen: letteralmente
"divisione dello schermo"; è un artificio tecnico con funzioni
narrative, generalmente usato o in sostituzione del montaggio alternato, per rappresentare, simultaneamente, sullo
schermo, fatti che stanno accadendo in posti diversi, nello stesso momento, e i
cui sviluppi sono destinati ad "incrociarsi" nel proseguimento
dell'azione; o in sostituzione del flashback,
per visualizzare un evento, un episodio, ricordato in quel momento dal
personaggio; (in realtà De Palma ne estende spesso le applicazioni, da Sisters
in poi).
Montaggio alternato: l'alternarsi,
in rapida successione, d'immagini di due o più eventi che si svolgono,
contemporaneamente, in luoghi diversi, e che, generalmente, troveranno
compimento nello stesso contesto spazio-temporale.
Soggettiva: è un tipo d'inquadratura che mostra il punto di vista del personaggio, e
costituisce lo strumento tipico utilizzato per raggiungere un altissimo grado
d'identificazione Spettatore/Personaggio.
Panoramica: è un tipo di movimento in
cui la mdp, fissata su un supporto
(un cavalletto per es.), ruota intorno al proprio asse in senso orizzontale,
verticale, o, più raramente, diagonale.
Plongée: è una ripresa aerea in cui la mdp
descrive una traiettoria obliqua, dall'alto verso il basso; generalmente
effettuata con il dolly o con la gru.
Semisoggettiva: è un'inquadratura che, come la soggettiva,
mostra il punto di vista del personaggio ma, sfruttando un'angolazione di
ripresa lievemente differente, non ne rispecchia fedelmente la posizione dello
sguardo; nella semisoggettiva entrano in
campo anche la nuca e le spalle del personaggio.
A dire il vero non è il mio film preferito di de Palma, ma questa scena è strepitosa! C'è davvero di che sbizzarrirsi sulla rete ma una cosa così è davvero bella. Mi piace!
RispondiEliminaCaro Lumix (o cara Lumix), GRAZIE!
RispondiEliminaSe è vero che le critiche aiutano a crescere e migliorare, gli apprezzamenti stimolano a continuare con maggiore entusiasmo!
A presto.
Kamdalex
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RispondiElimina