venerdì 2 marzo 2012

Dressed to Kill (dentro e fuori la pinacoteca)

Fatti a pezzi ... brandelli di cinema da ricucire


Dressed to Kill (Vestito per uccidere) - 1980 - di Brian De Palma

Lo sguardo, il desiderio, la colpa

Dressed to Kill (Vestito per uccidere) (1980) è film di eccessi, è "troppo" in tutto: troppo rozzo nella sceneggiatura e troppo sofisticato nello stile e nella tecnica di ripresa, troppo convenzionale nell'affrontare il tema "ufficiale" e troppo sottile nell'affrontare il secondo livello del discorso, troppo ingenuo nella comunicazione e troppo furbo nella metacomunicazione, troppo grezzo nella narrazione e troppo colto sotto il profilo delle citazioni e delle autocitazioni da cinéphile: dalla mitica "doccia hitchcockiana" (Psycho) all'uso dello split-screen (Sisters); dalla rappresentazione del voyeurismo come peccato originale e mortale (ancora Sisters ma anche, in toni più soft, Greetings) all'esigenza patologica del travestimento (ancora Psycho); dalle deviazioni delle personalità doppie (Psycho e Sisters) alla Tv presentata come metafora dell'ossessione del vedere (ancora Sisters) e, per finire, dal finale-shock onirico (Carrie) alla scelta assolutamente anticlassica e non convenzionale di far morire la protagonista dopo appena un terzo di film (ancora Psycho).   
Il percorso su cui si costruisce Vestito per uccidere, rappresenta la vena più ricca del cinema di De Palma e affronta, curiosamente, un tema che è tornato molto attuale nel thriller mainstream degli anni '90, trovandosi al centro di film di grande qualità e successo commerciale come Il silenzio degli innocenti, di Jonathan Demme, o Seven di David Fincher: il legame profondo tra sguardo/desiderio/colpa/morte.
Il "duale" Bobbi-Dr. Elliott/Michael Caine comincia ad uccidere perché la sua metà maschile è attratta da Kate Miller/Angie Dickinson, tanto da arrivare a desiderarla così intensamente da mettere in serio pericolo la propria metà-identità femminile, che reagisce uccidendo.
Kate stessa ha dei problemi psicologici legati alla sfera del desiderio sessuale, e trova l'inevitabile morte proprio quando il desiderio la spinge ad osare, accettando un rapporto rischioso con uno sconosciuto.    
In realtà, il tema "ufficiale" (lo psicopatico omicida dalla personalità e dalla sessualità doppie) e il meccanismo del plot sono tutt'altro che originali; basti pensare a un modello illustre come il già citato Psycho (1960) di Alfred Hitchcock per averne puntuale conferma: Norman Bates/Anthony Perkins, il protagonista di Psycho, è uno psicopatico in cui convivono conflittualmente la personalità maschile di Norman e la personalità femminile, dominante, della madre morta; anche Norman si traveste da donna per uccidere e compie i propri delitti utilizzando un'arma da taglio; anche Norman è un voyeur che spia attraverso i buchi nelle pareti; anche Norman, preso dal desiderio sessuale, lascia scatenare l'identità femminile che è in lui e che odia tutte le potenziali femmine rivali.
Ciò che risulta assolutamente affascinante, nell'opera di De Palma, è la capacità di far emergere, esclusivamente attraverso il linguaggio dell'immagine, la tematica sotterranea del film, che s'identifica nel rapporto simbiotico tra pulsione sessuale e godimento estetico, rapporto che può condurre alla totale perdizione.
Così, l'ambiente-museo, che è il luogo dove si va per guardare, per godere dello sguardo e del guardato (come il cinema del resto), diventa Il Luogo Ideale, il laboratorio delle istanze autoriali di De Palma.
Ecco perché la lunga sequenza del museo (quasi 10 minuti) si dimostra di una rilevanza simbolica decisiva, anche rispetto ad altri passaggi-chiave: l'omicida riflesso nello specchio dell'ascensore (scena girata come un omaggio, evidentissimo, forse più di quello del finale onirico, al Maestro Hitchcock) o quello delle riprese fotografiche di Peter (il figlio di Kate).
Qui, il tema reale è presentato in maniera più esplicita e, allo stesso tempo, più complessa proprio per la ricchezza dell'apparato simbolico.   
De Palma ama giocare sempre in bilico fra schemi narrativi più che convenzionali e stile perfetto, al limite dell'autocompiacimento. Così, con l'indiscutibile maestria tecnica che lo contraddistingue, quasi si sforza di rendere visibile la presenza della macchina da presa e quindi dell'istanza narrante
L'intera sequenza del museo è di un virtuosismo tecnico tanto straordinario quanto dichiarato; è esattamente ciò cui Welles alludeva quando affermava che, purtroppo, in alcune scene, come nell'incipit del suo infernale Quinlan (tit. or. Touch of Evil), è inevitabile che si veda troppo chiaramente la mano del regista. 
Per De Palma, in questo caso, non è un'esigenza di carattere narrativo a imporre la scelta, ma una precisa, scientifica, volontà di "far vedere" la visione: cioè di mettere in campo il gioco degli sguardi dei personaggi, della mdp (autore), dello spettatore (non a caso, le tre prospettive costitutive dell'effetto cinema).
Lo sguardo non è mai neutro; è sempre, assolutamente, selettivo e significativo, per ciò che mette in campo (e per come lo mette in campo) e per cosa, conseguentemente, lascia fuori; molto illuminante, al riguardo, la sbirciata che De Palma consente allo spettatore sulla mano dell'assassino nell'atto di raccogliere il guanto che Kate ha appena gettato via, sulla scalinata del museo; sbirciata che, invece, non è consentita al personaggio-Kate, troppo presa dallo sguardo/desiderio rivolto al richiamo sessuale proveniente dal finestrino del taxi.
De Palma non mostra alcun pudore nel rendere limpidamente visibile l'assunto teorico del film, costruendo la sequenza con perfezione architettonica e compiutezza scientifica: la sequenza si apre con una rapidissima ripresa aerea in esterni (sulla scalinata d'ingresso del museo) e continua con una lunga sequenza all'interno del museo stesso (8'30" circa) che rappresenta il "cuore ideologico" del film.
Il ritmo calmo e sereno dell'avvio è caratterizzato da una serie di soggettive di Kate che, seduta, si guarda intorno passando dai quadri agli altri visitatori del museo, in assoluta assenza di sonoro extradiegetico. Nel momento in cui uno sconosciuto (Ken Baker) le siede accanto entra la musica e il montaggio "sale di tono" aderendo alle schermaglie degli sguardi e del corteggiamento, girato in classico campo/controcampo, fino a diventare ossessivo nel momento in cui lo sconosciuto si alza e si allontana, avviando la fase della ricerca-inseguimento per le sale del museo.
De Palma ci conduce in questo inseguimento con un magistrale uso di carrelli in avanti, sulla soggettiva di Kate, e carrelli a precedere, alternando sapientemente punto di vista del personaggio principale e punto di vista della sola istanza narrante.
Infatti, eccetto che nella breve inquadratura in cui lo sconosciuto raccoglie il guanto perduto dalla protagonista, sono sempre lo sguardo e i movimenti di Kate a "farci strada" nel labirinto delle sale del museo, determinando un perfetto grado d'identificazione dello spettatore con i movimenti nello spazio e il disorientamento psicologico del personaggio; identificazione che viene fortemente sottolineata dalla repentina panoramica a 270 gradi, da sinistra a destra, che precede lo stacco sulla scalinata esterna dell'ingresso del museo.
De Palma filma questo percorso come se si trattasse di un tracciato labirintico, in cui ci si può perdere e morire, assimilabile al finale di Shining (capolavoro di Kubrick dello stesso anno), oltre che per l'evidente analogia legata al tema dell'inseguimento cieco, proprio per il ricorso alla funzione simbolica della figura luttuosa del labirinto.   
Labirinto che diventa metafora delle pulsioni/deviazioni specto-sessuali, luogo che pre-figura la morte, in Vestito per uccidere e metafora degli itinerari deliranti della follia, luogo che con-figura la morte, in Shining.   
A questo punto, il segmento che abbiamo preso in esame si manifesta come una perfetta partitura che, dopo una brevissima ouverture (in esterni), sviluppato lungamente il tema con le variazioni (in interno), trova la sua puntuale chiusura (di nuovo in esterni) davanti al museo stesso. 
Chiusura in cui De Palma, liberando tutta la propria abilità fantasmagorica, riesce a riportare l'attenzione dello spettatore sulle emozioni e sul punto di vista della protagonista, dopo lo stacco e il cambiamento d'ambiente, affidandosi a un bellissimo plongée sul primissimo piano di Kate, seguito da un movimento di macchina panoramico, da destra a sinistra che, con una secca zoomata, costringe lo sguardo sulla mano dello sconosciuto che sporge dal finestrino di un taxi, mostrando il guanto perduto dalla donna.
Un altro elemento interessante, per quanto riguarda la sovrabbondanza di senso della scena sotto il profilo del guardare e del traguardare e per la sua rara capacità di condensazione narrativa, quasi inavvertibile ad una prima visione, è la presenza di un fulmineo passaggio sulla figura dell'omicida travestito (figura riproposta, qualche secondo dopo, in un'altra fugace inquadratura), in una sorta d'introduzione-premonizione di ciò che accadrà di lì a poco.      
Ancora, è molto importante notare, sul versante della costruzione visiva e della collocazione strategica della mdp, come la sequenza sia strutturata in maniera molto rigorosa: si apre con una ripresa aerea (ingresso museo), si prosegue con una serie di soggettive della protagonista (interno museo), si torna ad una prospettiva aerea (uscita museo), si torna nuovamente sul punto di vista di Kate (taxi).
Il movimento della mdp, così, descrive una traiettoria ondeggiante (top/down/top/down) che ricalca l'oscillazione conflittuale tra la pulsione sessuale e le resistenze di natura etico-culturale di Kate; tra Es, da una parte, e Io/Super-Io, dall'altra.
Lo sguardo/desiderio prevale: Kate e lo sconosciuto continueranno in taxi, spiati dal tassista-guardone, il loro duello amoroso e lo completeranno nella stanza d'albergo dell'uomo.
Ancora una volta De Palma, nel suo tipico slang misto di rozzezza drammaturgica e incredibile talento visionario, non si accontenta di suggerire, di lasciar trasparire, ma si sforza di soddisfare le inclinazioni dello spettatore, che è il voyeur per antonomasia, reduplicando la dialettica filmico/profilmico attraverso la semisoggettiva del tassista (più avanti si trasformerà in una geniale semisoggettiva "suggerita"), che guarda servendosi dello specchio retrovisore, e l'oggettiva di Kate (che a sua volta spia fugacemente le occhiate del guardone) e dello sconosciuto. 
Per finire, un ultimo spunto di riflessione: se, secondo De Palma, il voyeurismo è IL peccato originale, in che rapporto si trovano ad essere Spettatore e Cinema? Ovvero il guardante per definizione e l'oggetto-luogo dei sogni e dei desideri più arditi? Si può pensare il cinema come luogo dedicato, istituzionalizzato, del voyeurismo?
Se così fosse, tra le pieghe del discorso di De Palma sembrerebbe annidarsi un'idea del tutto altra della funzione del cinema: una camera di decompressione in cui scaricare e sublimare le tendenze scopofiliche della cosiddetta "civiltà delle immagini"; tendenze altrimenti inquinanti.




  Il Video




Brian De Palma
PICCOLO DIZIONARIO TECNICO

Split-screen: letteralmente "divisione dello schermo"; è un artificio tecnico con funzioni narrative, generalmente usato o in sostituzione del montaggio alternato, per rappresentare, simultaneamente, sullo schermo, fatti che stanno accadendo in posti diversi, nello stesso momento, e i cui sviluppi sono destinati ad "incrociarsi" nel proseguimento dell'azione; o in sostituzione del flashback, per visualizzare un evento, un episodio, ricordato in quel momento dal personaggio; (in realtà De Palma ne estende spesso le applicazioni, da Sisters in poi). 
Montaggio alternato: l'alternarsi, in rapida successione, d'immagini di due o più eventi che si svolgono, contemporaneamente, in luoghi diversi, e che, generalmente, troveranno compimento nello stesso contesto spazio-temporale.
Soggettiva: è un tipo d'inquadratura che mostra il punto di vista del personaggio, e costituisce lo strumento tipico utilizzato per raggiungere un altissimo grado d'identificazione Spettatore/Personaggio.
Panoramica: è un tipo di movimento in cui la mdp, fissata su un supporto (un cavalletto per es.), ruota intorno al proprio asse in senso orizzontale, verticale, o, più raramente, diagonale.
Plongée: è una ripresa aerea in cui la mdp descrive una traiettoria obliqua, dall'alto verso il basso; generalmente effettuata con il dolly o con la gru.
Semisoggettiva: è un'inquadratura che, come la soggettiva, mostra il punto di vista del personaggio ma, sfruttando un'angolazione di ripresa lievemente differente, non ne rispecchia fedelmente la posizione dello sguardo; nella semisoggettiva entrano in campo anche la nuca e le spalle del personaggio.

3 commenti:

  1. A dire il vero non è il mio film preferito di de Palma, ma questa scena è strepitosa! C'è davvero di che sbizzarrirsi sulla rete ma una cosa così è davvero bella. Mi piace!

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  2. Caro Lumix (o cara Lumix), GRAZIE!
    Se è vero che le critiche aiutano a crescere e migliorare, gli apprezzamenti stimolano a continuare con maggiore entusiasmo!
    A presto.
    Kamdalex

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